Paura, ansia e fobia. Vivere con l’ansia.

Pensate al futuro che vi aspetta,

pensate a quello che potete fare,

e non temete niente.

Rita Levi Montalcini

La paura

La paura, insieme a tristezza, gioia, disgusto e rabbia, è una delle emozioni fondamentali degli esseri umani, ci mette in guardia dai pericoli così da favorire la sopravvivenza. Il nostro corpo produce un ormone (l’adrenalina) che, quando incontriamo un pericolo, induce cambiamenti fisici e mentali per prepararci all’azione: combattimento o fuga (flight or fight).

La paura ha un grande valore adattivo, questa emozione ha protetto la specie umana da animali selvaggi o da vicini ostili. Oggi gli stimoli che ci fanno paura sono piuttosto la perdita di un lavoro, un cambiamento di vita o il sommarsi di problemi quotidiani. Tuttavia i cambiamenti corporei, il pensiero e le reazioni comportamentali rimangono le stesse dei nostri antenati. La paura è utile all’uomo, come tutte le emozioni, infatti lo mette in guardia dai pericoli. Essa però diventa un problema quando viene vissuta in maniera esagerata o fuori contesto in questi casi si parla di ansia. L’ansia in modo manifesto o latente influenza in maniera profonda la vita.

L’ansia e la paura

A tutti sarà capitato di evitare di fare qualcosa, che magari desiderava tanto, per un ansia che lo ha bloccato. Non passare per quella strada perchè c’è un grosso cane, non prendere quell’aereo e rinunciare alla vacanza, smettere di guidare la macchina, non chiamare la persona che ci piace, perchè, bhe perchè ci piace tanto. Ognuno ha le proprie ansie che di fronte a determinate azioni o eventi si attivano rendendo difficile se non impossibile agire. Molte persone mostrano un grande coraggio a prendere una scala mobile o andare ad una cena, con queste semplici azioni, infatti, si confrontano con un nemico potente dentro se stessi.

Per comprendere meglio il concetto di ansia è necessario capire in cosa differiscono l’ansia e la paura. L’ansia è anch’essa un’emozione ed è una parente stretta della paura, con essa condivide la manifestazione fisiologica, tachicardia, respirazione affannosa, sudorazione, senso di nodo alla gola, ecc.. Differiscono però in maniera sostanziale poiché la paura è una reazione emotiva ad un pericolo reale mentre l’ansia è una reazione emotiva ad un pericolo percepito, non così ovvio agli occhi degli altri. La paura si verifica verso un pericolo che è già presente davanti a noi, e il nostro corpo è pronto per fuggire o per reagire in altri modi (come attaccare). L’ansia, invece, è un monito per le minacce future, ancora non presenti: se siamo sulla cima di un burrone abbiamo paura. Se temiamo di arrivare alla cima di un burrone e di cadere, e stiamo all’erta, stiamo provando ansia.

In conseguenza a quanto appena descritto, l’ansia è un disturbo persistente, mentre la paura è immediata. L’ansia, in qualche modo, prepara alla paura, ma non è detto però che l’evento che ci spaventa si verifichi poi realmente: serve a tenerci all’erta, a prepararci a qualcosa che non sappiamo se arriverà. Può durare per molto tempo, con delle conseguenze sull’organismo ad esempio: perdita di concentrazione, stanchezza cronica e dolori muscolari. Questo perché mentre la paura si prova solo per pochi attimi l’ansia, durando a lungo, causa modificazioni corporee che alla lunga stancano il nostro corpo (è la stessa differenza per il dolore alle gambe se abbiamo camminato per cento metri o per dieci chilometri). Un’altra differenza è che l’ansia è un sentimento meno dominante rispetto alla paura, e quando la proviamo è possibile ancora ragionare con la mente razionale, per prendere delle decisioni. Quando subentra invece la paura, non riusciamo più a farlo, tutti i nostri movimenti diventano istintivi con il solo scopo (automatico, del corpo, e non cosciente) di salvarci la vita. Infine l’ansia ha lo scopo di proteggerci dalle situazioni che riteniamo non sicure per noi, e non da pericoli reali. Questo, a lungo andare, fa sì che l’ansia, in conseguenza di idee sbagliate, cerca di proteggerci da situazioni neutre, che segnala come spaventose: è il caso della “paura” di un esame universitario, o di un colloquio di lavoro, situazioni in cui non esiste un reale pericolo, ma è l’ansia che ci fa credere ci sia.

L’ansia (patologica)

L’ansia è patologica quando disturba in maniera più o meno notevole il funzionamento psicologico, determinando una limitazione delle capacità di adattamento dell’individuo. può avere un’intensità tale da provocare una sofferenza insopportabile; determina comportamenti di difesa che limitano l’esistenza, come l’evitamento di situazioni ritenute potenzialmente pericolose o di controllo attraverso la messa in atto di rituali di vario tipo.

Comunemente l’ansia viene definita come una paura senza oggetto. Più in particolare potremmo dire che, nel disturbo d’ansia, l’oggetto della paura esiste, anche se è a volte è vaga, senza una precisa causa riconoscibile da parte del soggetto oppure può riguardare specifici oggetti ed eventi. Le persone ansiose tendono a monitorare costantemente l’ambiente alla ricerca di potenziali pericoli, per sé o per le persone più prossime, che si possono verificare immediatamente, oppure la preoccupazione si sposta in un futuro più o meno lontano. In questo modo le persone che ne soffrono, non vivono la vita nel presente, perché sono costantemente prese dal pensare immaginari minacciosi proiettati nel futuro ed impegnate continuamente ad evitare situazioni che considerano pericolose. La persona ansiosa vive in uno stato d’incertezza rispetto al futuro, con la prevalenza di sentimenti spiacevoli, una sensazione penosa di apprensione per eventi di cui fa previsioni pessimistiche. Ancora più penosa è la percezione, non solo di una catastrofe imminente, ma anche l’idea di dover far qualcosa per prevenire tale catastrofe. In questo stato la persona vive un turbine di emozioni, che spesso non sa definire, dove è presente l’ansia per l’evento temuto che si potenzia per la credenza di non essere in grado di affrontare quelle catastrofe e che può mescolarsi alla tristezza per la percezione di inadeguatezza e incapacità del Sé.

Nel Disturbo d’ansia il difetto di elaborazione dell’informazione, causa della vulnerabilità e della persistenza dell’ansia stessa, può essere visto da un lato come una preoccupazione relativa al concetto di pericolo dall’altro come una sottovalutazione delle capacità individuali di farvi fronte(Beck , Emery e Greenberg, 1985)

La persona quindi si trova a vivere una sensazione di pericolo scaturita da un’alterata percezione del mondo esterno che si somma all’emozione della tristezza per l’impotenza generata dalla percezione di fragilità che ha di sé. A causa di questa sua deficienza, sarà costretta ad aver bisogno degli altri. Dunque, oltre a vivere lo stato spiacevole causato dall’ansia, la persona si può trovare a vivere anche la tristezza per essere così com’è, uno stato che peggiora la sua condizione.

Visto che si percepisce inadeguata (con scarse potenzialità) e percepisce il mondo esterno sempre più minaccioso, la persona ansiosa sviluppa la tendenza a dover tenere tutto sotto controllo, non può perderlo perché è come se si dicesse: “A quali conseguenze disastrose sarò esposta se dovessi perdere anche un po’ del mio controllo?”. Spesso non mette in discussione l’idea che è proprio la sua tendenza a controllare che fa aumentare quello stato di malessere (da lei invece attribuito alla gravità dell’evento) e che spesso gli eventi negativi che la vita ci presenta, non sono affatto la conseguenza del nostro essere inadeguati. Inoltre, il voler controllare a tutti i costi, ci dà solo la prova che noi non riusciamo a controllare e questo attiva un circolo vizioso: siccome sono debole devo controllare, più sono vigile e attento nel controllare tutto ciò che mi circonda e più mi accorgo che non riesco a controllare tutto, l’informazione che ricevo dal mancato controllo avvenuto, rafforza la mia idea di base, quella di essere debole/inadeguato.

La sovrastima del pericolo e la sottostima delle capacità di fronteggiarlo, riflettono nei disturbi d’ansia l’attivazione dei cosiddetti “schemi di pericolo”: “il nodo del disturbo degli stati d’ansia non coinvolge il sistema affettivo, come si è portati a credere, ma gli schemi cognitivi connessi alle sensazioni di pericolo, a causa dei quali la realtà esterna viene vissuta come estremamente pericolosa e il proprio sé come estremamente vulnerabile” (Beck 1985, p.192)

Una volta attivata la valutazione di pericolo, si crea un altro circolo vizioso che rinforza le manifestazioni d’ansia. I pensieri sono negativi, catastrofici, e possono innescare anche reazioni somatiche. L’ansia può causare sintomi come: inquietudine e sensazione di forte tensione; fatica; difficoltà di concentrazione; irritabilità; tensione muscolare; problemi del sonno, difficoltà respiratorie, del ritmo cardiaco e del tratto gastroenterico.

I sintomi ansiosi diventano una fonte di minaccia, possono condizionare il comportamento dell’individuo ed essere interpretati come segnali dell’esistenza di un grave disturbo fisico o psicologico. Questi effetti accrescono il senso di vulnerabilità dell’individuo e di conseguenza rinforzano l’iniziale reazione ansiosa inducendo una serie di risposte sfavorevoli, le quali a loro volta non fanno altro che esasperare la valutazione di pericolo.

Il preoccuparsi costantemente per evitare il pericolo, fa sì che chi ne soffre tenti delle soluzioni che però sono disfunzionali. Si prova ad evitare di essere colti di sorpresa o almeno di prepararsi al peggio , e all’aumento di emozioni negative legate alla possibilità che accada qualcosa di temuto (controllo). Oppure chiedere aiuto per scongiurare la possibilità di stare male per una crisi di ansia, come detto sopra. Infine un’altra soluzione disfunzionale è quella di reprimere le proprie reazioni.

La fobia

La fobia si crea quando una paura è determinata da una situazione non realmente pericolosa (o comunque meno pericolosa di quanto il soggetto avverta) e degenera provocando ansia ingiustificata. La fobia, al contrario della paura, non è proporzionale al rischio a cui si è consapevoli di essere esposti o a cui si crede di essere esposti. Semplificando il concetto: è la stessa differenza che c’è tra l’esser terrorizzati da un leone (paura giustificata e naturale) e l’esser terrorizzati da un gatto (paura ingiustificata, quindi fobia). Esistono diverse forme di fobie che possono riguardare anche oggetti normalissimi, l’aglio ad esempio, o situazioni estremamente innocue come prendere un ascensore e perfino aspetti della vita come ad esempio dormire. Come già detto non è la paura in sé ad essere patologica. Ciò che risulta patologico è l’intensità della risposta, del tutto sproporzionata rispetto allo stimolo spaventante. Quando la paura diventa eccessiva, paralizzante o male indirizzata, ad esempio una persona che ha paura di un gatto, causa una limitazione potentissima alla nostra libertà di vivere, agire, esplorare, conoscere noi stessi e il mondo che ci circonda. Ci chiudiamo un una gabbia che può essere la nostra casa, un percorso specifico per andare al lavoro (così da evitare i cani ad esempio), ecc.. In tutti questi casi, andiamo a perdere un aspetto fondamentale, quello della consapevolezza: io reagisco in questo modo perché mi proteggo da una situazione pericolosa. Ma quanto essa mette realmente a rischio la mia sopravvivenza o il mio benessere? Chi soffre di una fobia, non è più in grado di capirlo. C’è infatti una grande differenza tra una donna che decide di non uscire a fare una commissione la sera perché abita in un quartiere malfamato e la signora che decide di non rispondere al campanello perché lo considera minaccioso. Nella prima donna, il comportamento è dovuto a un’accurata valutazione del pericolo, la seconda ha invece una reazione eccessiva a un rischio molto ridotto o nullo.

La persona fobica si illude di circoscrivere la sua ansia (che è, come detto sopra, una paura indistinta, senza oggetto e non circostanziata) in una paura, ben circostanziata e definita: una paura controllabile.

Le nostre piccole paure

Nella vita quotidiana ci troviamo spesso a confrontarci con sfide che ci attivano l’ansia: di fronte alla consegna di un lavoro o prima di un appuntamento importante ad esempio. Alcune volte non ci si rende conto di attivare comportamenti di evitamento (strategia della fuga) come non telefonare a quella persona per paura di disturbare, non intervenire in una conversazione per paura di sbagliare, non partecipare a quell’evento per paura di non essere accettati, la pura di fare brutta figura. Non si tratta di circostanze con valenza patologica ma hanno un forte impatto sulla nostra vita. Evitare di affrontare queste situazioni, infatti, incide sulla autostima e sulla personale consapevolezza di essere in grado di farcela (autoefficacia), rendendo più difficile rispondere in modo positivo quando la situazione si ripresenta una seconda volta.

Un’altra reazione in queste situazioni può essere l’annullare le emozioni collegate, percependo l’evento, come poco importante, poco significativo oppure sviluppando sentimenti negativi: “se vuole sentirmi quella persona mi chiama, non devo essere sempre io a farmi sentire”, “quell’evento non è così interessante o importante”, ecc.. Anche in questo caso ci si impone una limitazione, inconsapevole, causata dall’ansia. Quando passato il pericolo lo stato emozionale riprende il corso normale si prova dispiacere per non aver fatto quell’esperienza.

Conclusioni

E’ commovente che quasi tutte le persone siano prigioniere di inutili paure. Le vediamo vivere sotto il peso di fardelli psicologici che le privano della libertà ancora di pi delle catene del prigioniero” (Rollo May).

Le due principali reazioni dinnanzi a uno stimolo pauroso sono attacco o fuga: la prima ci consente di affrontare l’ostacolo, combatterlo; la seconda ci porta ad abbandonare la situazione prima che divenga eccessivamente minacciosa per la nostra sopravvivenza. I cambiamenti corporei, cognitivi e comportamentali fanno parte della natura delle emozioni, in particolare della paura, non solo per fare fronte agli stress ma, in ultimo, per garantirci la sopravvivenza. Si tratta, perciò, di esperienze vitali e necessarie. I problemi nascono nel momento in cui non riusciamo a spegnere le nostre reazioni corporee e mentali di fronte a una minaccia che non è più presente né imminente, così che la risposta allo stress, da adattiva, si trasforma in cronica o eccessiva.

Allontanarsi da una situazione temuta per evitare di affrontare il pericolo (comportamento di evitamento) aumenta la carica d’ansia rendendo più forte la paura e causando una difficoltà maggiore ad affrontarla quando ci si proporrà una volta successiva. In questo modo lasciamo scegliere all’ansia la direzione che prendono le nostre azioni e le nostre scelte. Si vive una vita un po’ nascosti, ci si allontana dal centro della scena per non esporsi e si guarda scorrere il tempo cercando di scampare pericoli invisibili ma purtroppo anche le soddisfazioni e il piacere di fare vengono meno.

Il modo migliore per sconfiggere l’ansia è affrontarla, vivere le situazioni che sentiamo ansiogene, magari a piccoli passi. Ad esempio se si prova ansia a prendere l’ascensore invece di fare le scale si può prepararsi prima, immaginando la situazione successivamente entrare ed uscire dall’ascensore senza salire, poi salire di un piano e scendere a piedi, ecc.. Di aiuto è fare sport, in particolare quelle attività come lo yoga che insegnano a respirare.

Con l’ansia si può ragionare, fermati, respira e cerca di non farti dominare dai pensieri negativi ma permettiti di criticarli e datti la possibilità di vedere che puoi  riuscire.

Se però l’ansia è eccessiva e domina la nostra vita ci si può rivolgere ad uno psicoterapeuta, con un trattamento mirato anche non eccessivamente lungo si può risolvere il problema.

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