Resilienza: resistere, riorganizzarsi, migliorarsi
Non disperare della vita. Tu possiedi senza dubbio forze sufficienti per superare i tuoi ostacoli. Pensa alla volpe che si aggira per campi e boschi in una notte d’inverno per soddisfare la sua fame. Nonostante il freddo e i cani da caccia e le trappole, la sua razza sopravvive. Io non credo che nessuna di loro si sia mai suicidata. (Henry David Thoreau)
Resilienza: storia
Lo studio più celebre e all’interno del quale fece per la prima volta la comparsa il termine resilienza fu quello di Werner e Smith (Werner & Smith, 1992). Il gruppo dell’Università di Davis (California), guidato da Emma Werner a partire dal 1955 condusse una ricerca longitudinale su 698 neonati dell’isola Kauai nell’arcipelago delle Hawaii, della durata di 30 anni. Secondo le loro previsioni, 201 soggetti, circa un terzo di questi neonati avrebbero sviluppato dei problemi perché, per la psicologia classica avevano tutti i prerequisiti per una prognosi di disagio psichico o sociale, esposti a una serie di fattori di rischio, quali nascita difficile, povertà, malattie mentali, famiglie con alcolismo o caratterizzate da violenza o litigi. E in effetti, i 2/3 del campione confermarono le previsioni dei ricercatori, mostrando all’età di 18 anni serie difficoltà di apprendimento, oltre che di adattamento sociale, scolastico e/o lavorativo.
Contraddicendo le previsioni, un terzo di questi bambini considerato a rischio, aveva smentito le previsioni dei ricercatori, settantadue neonati, erano riusciti in età adulta a migliorare la loro condizione di vita ed erano diventati adulti in grado di instaurare relazioni significative e stabili, che si impegnavano sul lavoro e nelle relazioni con gli altri, ed essendo persone costruttive capaci di cogliere spunti per migliorarsi e crescere. Il gruppo della Werner evidenziò come l’aver ricevuto da persone significative un’accettazione incondizionata e l’aver saputo attribuire senso e significato alla vita avesse reso questi soggetti più “immuni” agli stressor cui erano stati sottoposti, promuovendo in loro un processo di resilienza.
Il riscontrare in queste persone una possibilità di miglioramento ha aperto un ambito di studi sulla conoscenza di quei fattori di protezione che possono favorire uno sviluppo adeguato. Comprendere cosa aveva reso resilienti quei settantadue bambini, consenti di spostare l’ottica dall’analisi sui motivi che determinano una fonte di disagio, ovvero sulla mancanza e sulla vulnerabilità verso l’indagine e successivamente la presa in carico e cura di quelle risorse individuali e famigliari che consentono alla persona di integrare le proprie risorse con i propri limiti e comprendere che l’esperienza traumatica che pur rimane iscritta nel profondo dell’animo, può divenire un occasione formativa di crescita personale (Malaguti, 2005).
Significato
Non importa quante volte cadi, ma quante volte cadi e ti rialzi.
(Vince Lombardi)
Il termine resilienza per come ha iniziato ad essere usato in psicologia da Werner e Smith è in realtà la metafora di un fenomeno misurabile in fisica, ovvero dell’attitudine di un corpo a resistere senza rotture in seguito a sollecitazioni esterne brusche o durature di tipo meccanico (Devoto, 1971). La resilienza nasce, infatti nella metallurgia, in cui indica la capacità di un metallo di resistere alle forze impulsive che gli vengono applicate, in altre parola resistere agli urti senza spezzarsi. Un significato equivalente è riscontrabile anche in altre discipline, è un costrutto trasversale, ad esempio in biologia si parla di organismi resilienti indicando la capacità di autoripararsi dopo aver subito un danno, mentre in ecologia tanto più un ecosistema è dotato di variabilità dei fattori ambientali, tanto più le specie che vi appartengono sono dotate di un’alta resilienza. Nel linguaggio informatico la resilienza di un sistema operativo è rappresentata dalla capacità di adattamento alle condizioni d’uso e di resistenza all’usura, ovvero riferendosi a un sistema che continua a funzionare, nonostante delle anomalie. Il termine, traslato dalla fisica, dalla biologia e dall’informatica viene utilizzato dalla psicologia e dalla sociologia per indicare la capacità di un individuo di resistere agli urti della vita senza spezzarsi o incrinarsi, mantenendo e potenziando inoltre le proprie risorse sul piano personale e sociale (Oliverio Ferraris, 2003). La resilienza può quindi essere considerata come la capacità di affrontare eventi stressanti, superarli e continuare a svilupparsi aumentando le proprie risorse con una conseguente riorganizzazione positiva della vita (Malaguti, 2005). In altre parole la resilienza consente l’adattamento alle avversità, è la capacità di resistere, le persone resilienti riescono a superare gli eventi stressanti o traumatici e riorganizzare in maniera positiva la propria vita dinanzi alle difficoltà, dopo aver subito un evento negativo. Non si tratta, quindi, di una mera resistenza passiva, di una reazione inconsapevole e automatica, bensì di una risposta cosciente, di una ricostruzione che si traduce in potenzialità e prospettive di crescita. L’individuo resiliente non è colui che ignora o nega le difficoltà, e neanche le minimizza. Al contrario, è colui che riesce ad andare avanti, con una forza rinnovata, con una più approfondita e consapevole conoscenza di sé. In poche parole, riesce a trasformare l’evento negativo in fonte di apprendimento, inteso come la capacità di acquisire competenze utili per migliorare la propria qualità di vita e proseguire nel proprio percorso di crescita e realizzazione.
Ma questa è solo una delle possibili definizioni, perchè nel panorama attuale la resilienza è un ambito di studio per diverse discipline scientifiche che indagano questo fenomeno ognuna da un punto di vista differente. Le neuroscienze pongono il fuoco sulla funzione plastica del cervello capace di sostenere il soggetto traumatizzato grazie alla riattivazione funzionale di circuiti neuronali del benessere (Edelman, 1992; Le Doux, 1996). La psicobiologia studia i rapporti mente corpo e la riorganizzazione positiva del sistema biologico in risposta al trauma e al dolore (Cyrulnik, 2006). La psicologia, la sociologia e la psicopedagogia hanno come ambito d’indagine la conoscenza e la gestione delle situazioni traumatiche a sostegno dello sviluppo (Speltini, 1968). L’approccio psico-educativo, sottolinea invece l’aspetto dinamico ed evolutivo del comportamento resiliente, attribuendo grande importanza alla promozione e allo sviluppo di quelle capacità resilienti che possono sostenere il benessere individuale e impegnandosi concretamente nella realizzazione di progetti di intervento e nella ricerca di nuove metodologie per potenziare le competenze resilienti (Malaguti, 2005; Putton & Fortugno, 2008). Nell’ambito della psicopatologia, la resilienza è considerata come la capacità di evolversi anche in presenza di fattori di rischio (Luthar & Ziegler, 1991; Rutter, 1979). Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) definisce la resilienza come una trama dove il filo dello sviluppo si intreccia con quello affettivo e sociale. Anaut (Anaut, 2003) sostiene che essere resilienti non significa essere individui invulnerabili, inaccessibili alle emozioni, alla sofferenza. All’interno di questa pluralità di apporti scientifici, che hanno fatto della resilienza una prospettiva d’indagine trasversale nell’ambito delle scienze umane, possono essere rintracciate molteplici definizioni del termine resilienza che pur differenziandosi per riferimenti teorici e fattori evidenziati, hanno come elemento comune la visione della complessità del fenomeno e l’individuazione di diverse variabili tra loro in interazione (Putton & Fortugno, 2006).
Io e gli altri
La persona resiliente non è un super eroe, ma solo una persona comune dotata di molte qualità ma che può andare incontro a rotture e a depressioni. La resilienza infatti non è una caratteristica presente in tutta la vita, anche per una persona dotata di qualità resilienti possono infatti esserci momenti e situazioni troppo faticose da sopportare. Cyrulnik (Cyrulnik, 2001) in linea con Anaut, considera gli individui resilienti come persone che hanno trovato in se stessi, nelle relazioni umane, nei contesti di vita, gli elementi e la forza per superare le avversità. Riconoscere che la persona, la famiglia, il gruppo, la comunità si situano all’interno della storia della persona resiliente, consente di trovare dei collegamenti con il modello ecologico umano e sociale di Bronfenbrenner (Bronfenbrenner, 1979). All’interno della prospettiva psicosociale viene posta l’attenzione sulle esperienze familiari per coltivare la speranza e sostenere l’individuo verso un nuovo progetto di vita (Garmezy, Masten, & Tellegen, 1984). Emiliani (Emiliani, 1995) presenta la resilienza come una competenza che si sviluppa all’interno della dimensione relazionale e viene accresciuta e fortificata da tutte le esperienze in grado di favorire un sentimento di efficacia personale e di valorizzazione del Sé. In questa prospettiva il concetto di resilienza è utilizzato anche in riferimento ai gruppi e alle comunità per indicare una condizione che amplifica la coesione dei membri fortificando le risorse vitali di coloro che ne sono coinvolti (Cyrulnik & Malaguti, 2005; Grotberg, 1995). Infine l’ottica sistemica considera la resilienza come la capacità di un sistema di far fronte ai cambiamenti, imprevisti e improvvisi, provocati dall’esterno e di superare queste crisi attraverso un cambiamento qualitativo in grado di mantenere la coesione strutturale e funzionale del gruppo. La resilienza del singolo quindi, si sviluppa nella capacità dei sistemi sociali connessi (famiglia, scuola, società) di creare delle condizioni protettive (tutori di resilienza) per supportare le difficoltà legate al trauma (Bronfenbrenner, 1979).
Fattori di rischio e protettivi
Uno dei grandi pregi degli studi sulla resilienza è mettere in luce quali siano i fattori che predispongono a reagire agli eventi stressanti e negativi e quelli invece che inducono a reazioni negative. Dalla ricerca emerge infatti che i bambini dotati di fattori protettivi crescono adeguatamente nonostante siano esposti a condizioni di rischio e sono considerati resilienti. Mentre i bambini che mancano di fattori protettivi o in cui questi non sono adeguatamente sviluppati possono presentare difficoltà sul piano emotivo, comportamentale o difficoltà di apprendimento e sono descritti come vulnerabili. Le persone resilienti trovano in loro stessi, nelle relazioni umane, e nei contesti di vita, quegli elementi di forza per superare le avversità, definiti fattori di protezione contrapposti ai fattori di rischio, che invece diminuiscono la capacità di sopportare il dolore. I fattori di protezione giocano un ruolo fondamentale nel contrastare gli effetti negativi delle circostanze di vita avverse, favorendo un adattamento positivo e potenziando quindi la resilienza. Differenti ricerche hanno indicato l’esistenza di tre macro aree di fattori protettivi: caratteristiche individuali, ambiente famigliare e il contesto sociale allargato (Masten, 1994; Rutter, 1987; Werner & Smith, 1992). Relativamente all’individuo i fattori di protezione consistono nell’autonomia, competenza sociale e comunicativa, nel senso di fiducia personale, apertura alle relazioni sociali, capacità di risolvere i problemi e prendere decisioni, porsi degli obiettivi ed essere in grado di raggiungerli, la sensibilità, l’autocontrollo, e la consapevolezza e fiducia che le proprie conquiste dipendono dai propri sforzi (locus of control interno vd articolo Chi ha il controllo, io o gli altri? Il mondo è nelle mie mani o sono in balia degli eventi?). Perché una persona sviluppi resilienza è inoltre fondamentale che sperimenti una figura di riferimento positiva dentro e fuori dalla famiglia, e che abbia la possibilità di fare delle esperienze che aumentino la propria autostima (vd “Apprezza te stesso”: l’autostima) e autoefficacia (Losel, 1994) nel contesto sociale.
I fattori protettivi familiari comprendono l’elevata attenzione riservata al bambino nel primo anno di vita, la qualità delle relazioni tra genitori, il sostegno alla madre nell’accudimento del piccolo, la coerenza nelle regole, il supporto di parenti e vicini di casa, o comunque di figure di riferimento affettivo. È altresì importante che un bambino si senta protetto dalla famiglia di fronte a situazioni di disagio e sperimenti un forte legame affettivo e di unione non solo con i genitori ma anche con i parenti, amici e il vicinato, si costruisca cioè fin da piccolo una fitta e solida rete sociale.
Una comunità competente infine, riesce ad effettuare degli interventi di promozione del benessere favorendo la coesione sociale, la partecipazione e la solidarietà.
Tra i fattori di rischio che espongono a una maggiore vulnerabilità agli eventi stressanti, diminuendo la resilienza, secondo Werner e Smith (1982) troviamo: fattori emozionali (bassa autostima, scarso controllo emozionale, ecc..), interpersonali (rifiuto dei pari, isolamento, chiusura, ecc..); fattori familiari (bassa classe sociale, forti dissidi familiari, conflitti, assenza del padre, presenza di alcolismo, scarso legame con i genitori, disturbi nella comunicazione); fattori di sviluppo (ritardo mentale, disabilità nella lettura, deficit attentivi, iperattività, incompetenza sociale).
I FATTORI DI RISCHIO |
I FATTORI DI PROTEZIONE |
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INDIVIDUO |
Bassa autostima Difficoltà a stabilire e a mantenere relazioni interpersonali positive Scarso attaccamento alle figure parentali Alto livello di rabbia e aggressività Aspettative inadeguate relativamente a se stessi e agli altri Malattie mentali Comportamenti distruttivi Iperattività Uso di sostanze psicoattive Isolamento sociale Insuccesso scolastico |
Temperamento aperto alle relazioni sociali Buona intelligenza Autonomia Capacità di risolvere i problemi Capacità di porsi obiettivi e di saperli realizzare |
FAMIGLIA |
Forti dissidi familiari, conflitti Assenza del padre Abusi Presenza di alcolismo Comportamenti antisociali Povertà Bassa classe sociale, Scarso legame con i genitori Disturbi nella comunicazione |
Coesione Sostegno affettivo Coinvolgimento in attività prosociali e consapevolezza del loro valore Intesa fra i genitori per un mutuo aiuto Legame profondo con i figli durante l’infanzia Sostegno da parte della famiglia allargata e dalle persone amiche |
COMUNITA’ |
Povertà Alta densità urbana Forte mobilità |
Coinvolgimento del gruppo dei pari in attività di solidarietà nei confronti della scuola e della comunità Iniziative per favorire la coesione sociale, la solidarietà e la partecipazione Interventi mirati alla promozione del benessere dei giovani |
Quello che definisce la qualità della resilienza è la qualità delle risorse personali e dei legami che si sono creati prima e dopo l’evento traumatico. Parlare in termini di resilienza vuol dire modificare lo sguardo con cui si leggono i fenomeni e superare un processo di analisi lineare, di causa ed effetto. In situazioni difficili, essere resilienti non significa negare il dolore, ma essere capaci di trasformare una esperienza dolorosa in apprendimento, riorganizzando la propria vita e rendendo tale esperienza una occasione formativa.
Caratteristiche dell’individuo resiliente: come aumentare la resilienza
Coloro che possiedono un alto livello di resilienza riescono a fronteggiare efficacemente le contrarietà, a dare nuovo slancio alla propria esistenza e perfino a raggiungere mete importanti. Si tratta, sostanzialmente, di persone ottimiste, flessibili e creative, che sono in grado di lavorare in gruppo e attingono spesso alle proprie e altrui esperienze. La resilienza è una funzione psichica che si modifica nel tempo in rapporto all’esperienza, ai vissuti e, soprattutto, al cambiamento dei meccanismi mentali che la sottendono.
Uno dei fattori da sostenere in un processo di resilienza è l’alta tolleranza alla frustrazione, ovvero la capacità di dilazionare la gratificazione del momento presente per perseguire e perseverare nel raggiungimento dei propri obiettivi. Questi devono essere specifici, graduali e realistici, in modo da risultare sfidanti, ma non eccessivi. La capacità di tollerare la frustrazione permette anche di metabolizzare disagi, sconfitte e fatiche.
Un individuo resiliente è anche colui il quale, armato di speranza e tenacia, riesce a risolvere i problemi, piuttosto che a minimizzarli o evitarli. Resiliente è chi ha un senso di progettualità e valore personale, che va al di là del contesto specifico; chi ha una forte motivazione e aspettativa di successo; chi è in grado, come i soggetti dello studio di Emma Werner, di dare una direzione e una progettualità alle proprie scelte e azioni.
La resilienza è in gran parte frutto degli occhiali attraverso cui gli individui vedono se stessi, gli altri e il mondo. Occorre pertanto modificare le lenti con cui interpretano gli eventi e vi attribuiscono un significato, valutare lo stile di attribuzione causale, per prima cosa, il locus of control (vedi articolo Chi ha il controllo, io o gli altri? Il mondo è nelle mie mani o sono in balia degli eventi?), ovvero il modo cui l’individuo concettualizza e spiega gli eventi che accadono e quanto si percepisce in grado di incidere su di essi. Il locus of control interno, ad esempio è la tendenza a interpretare i risultati e gli effetti delle proprie azioni come determinate dai propri comportamenti e non da forze esterne. Viene quindi riconosciuta la responsabilità personale degli eventi e questo alimenta la progettualità e l’azione. Spesso un processo di resilienza è ostacolato proprio dalla valutazione cognitiva del soggetto, dall’etichetta che questi attribuisce a se stesso Cambiare le lenti cognitive non vuol dire certo adottare una visione ingenuamente ottimistica, bensì mantenere un realismo funzionale che permetta un adattamento consapevole alla realtà, in modo che gli eventi negativi, siano visti come portatori di spunti di crescita e apprendimento, piuttosto che come una minaccia alla propria incolumità.
L’autostima intesa sia come l’azione del valutare sé stessi come dotati di un’insieme di determinate caratteristiche, sia come valutazione effettuata sulla base di criteri ottenuti dal confronto delle proprie caratteristiche con quelle di altri soggetti ed infine come il giudizio risultante da queste valutazioni (“Apprezza te stesso”: l’autostima) e l’autoefficacia intesa come sicurezza nella propria capacità di risolvere i problemi, sicurezza che deriva dalla conoscenza dei propri punti di forza e di debolezza, rappresentano delle risorse che rendono più probabile una risposta resiliente, nella misura in cui immunizzano allo stress e all’impatto che questo esercita sul benessere psicofisico. Chi ha un senso di valore e significato personale (autostima) e si attribuisce un certo grado di controllo sugli eventi esterni (locus of control), in base alla convinzione di disporre delle risorse necessarie per affrontarli (autoefficacia), sarà più verosimilmente un individuo resiliente. Allo stesso modo, colui che ravvisa nei problemi e nelle avversità una sfida, piuttosto che una minaccia, riuscirà a considerare i cambiamenti come opportunità di crescita e non come qualcosa a cui piegarsi in modo arrendevole.
Esplorando i fattori protettivi descritti precedentemente, è possibile individuare alcune componenti che contribuiscono a sviluppare la resilienza (Cantoni, 2014). Tra queste, un ruolo importante è giocato dall’ottimismo, ovvero la capacità a considerare i problemi una componente inevitabile e ineliminabile della vita, la disposizione a cogliere il lato buono delle cose, la tendenza ad aspettarsi un futuro ricco di occasioni positive, cercando sempre di trovare la soluzione ai problemi, è una caratteristica che promuove il benessere individuale e preserva dal disagio e dalla sofferenza fisica e psicologica. Chi è ottimista tende a relativizzare le difficoltà della vita e a mantenere più lucidità per trovare soluzioni ai problemi (Seligman, 2000). Il soggetto ottimista a differenza del pessimista, interpreta le difficoltà come transitorie, e non permanenti; come circoscritte, e non pervasive a tutti gli ambiti di vita; infine, come non unicamente dipendenti dalla sua responsabilità, bensì come frutto del concorso di più variabili, alcune delle quali fuori dal suo controllo.
La già citata autostima che protegge da sentimenti di ansia e depressione e influenza positivamente lo stato di salute fisica. L‘autostima si accoppia all’ottimismo. Avere una bassa considerazione di sé ed essere molto autocritici, infatti, conduce a una minore tolleranza delle critiche altrui, cui si associa una quota maggiore di dolore e amarezza, aumentando la possibilità di sviluppare sintomi depressivi.
Le emozioni positive: focalizzarsi su quello che si possiede invece che su ciò che ci manca. la capacità di sostituire il lamentarsi con interpretazioni positive.
Un altra componente è l’Hardiness (robustezza psicologica): è tratto di personalità scomponibile in tre dimensioni: il controllo, l’impegno e la sfida: il controllo inteso come la convinzione di essere in grado di controllare l’ambiente circostante e l’esito degli eventi, mobilitando quelle risorse utili per affrontare le situazioni. L’impegno come definizione e perseguimento di obiettivi, con la chiara definizione di obiettivi significativi che facilita una visione positiva di ciò che si affronta. Infine la sfida quale visione dei cambiamenti come incentivi e opportunità di crescita piuttosto che come minaccia alle proprie sicurezze.
Un altro fattore è il supporto sociale ovvero la capacità di costruire relazioni eterogenee e molteplici che possano sostenere l’individuo nei momenti difficili, dal momento che la resilienza è un costrutto multidimensionale, risiede anche nel contesto sociale di appartenenza, nella rete di relazioni intessute prima e dopo l’evento negativo, nel sostegno pratico ed emotivo di cui ognuno dispone Il supporto sociale, definito come l’informazione, proveniente da altri, di essere oggetto di amore e di cure, di essere stimati e apprezzati. E’ importante sottolineare come la presenza di persone disponibili all’ascolto sia efficace poiché permette il racconto delle proprie difficoltà. Raccontare è liberarsi dal peso della sofferenza, e l’accoglienza gentile e senza rifiuti o condanne da parte degli altri segnerà il passaggio da un racconto tutto interiore, doloroso e solitario alla condivisione partecipata dell’accaduto.
Un altro modo per promuovere la resilienza è avvicinarsi alla pratica della meditazione, nello specifico sviluppare la capacità di decentrarsi dai propri pensieri, considerandoli per quello che sono, ovvero contenuti della mente, e non realtà. L’accettazione intenzionale e non giudicante del qui e ora permette, da un lato, di depurare la valutazione cognitiva da errori e distorsioni, dall’altro, facilita la gestione dello stress. L’attitudine ad accettare sentimenti spiacevoli, a osservare pensieri e sensazioni, senza reagire a essi, è una delle modalità per costruire e rinforzare il processo di resilienza.
Le persone più resilienti, e che quindi spesso riescono meglio a fronteggiare le avversità della vita, presentano impegno, ovvero la tendenza a lasciarsi coinvolgere nelle attività, locus of control interno, la convinzione di poter dominare gli eventi che si verificano al punto da non sentirsi in balia degli stessi e gusto per le sfide, ossia predisposizione ad accettare i cambiamenti non vivendoli come problematici. Queste caratteristiche della persona possono erssere coltivate e potenziate. La resilienza non è una caratteristica che è presente o assente in un individuo, ma presuppone comportamenti, pensieri ed azioni che possono essere appresi da chiunque.
Avere un alto livello di resilienza non significa non sperimentare le difficoltà o gli stress della vita, significa avere le risorse per riuscire ad affrontarli senza farsi sopraffare, essere disposti al cambiamento quando necessario, a pensare di poter sbagliare, e di poter correggere la rotta.
Conclusioni
“Quando la vita rovescia la nostra barca, alcuni affogano, altri lottano strenuamente per risalirvi sopra. Gli antichi connotavano il gesto di tentare di risalire sulle imbarcazioni rovesciate con il verbo ‘resalio’. Forse il nome della qualità di chi non perde mai la speranza e continua a lottare contro le avversità, la resilienza, deriva da qui”.
(Pietro Trabucchi)
Il termine resilienza richiama la matrice latina del termine (“resilire”, da “re-salire”, saltare indietro, rimbalzare), per esprimere la capacità dell’individuo di fronteggiare una situazione stressante, acuta o cronica, ripristinando l’equilibrio psico-fisico precedente allo stress, in alcuni casi anche, migliorandolo. L’individuo resiliente, non ignora o evita la sofferenza ma pensa valga sempre la pena vivere da protagonisti, piuttosto che da spettatori cauti e prudenti. Resiliente è colui che distingue ciò che può e non può cambiare e, in quest’ultimo caso, è comunque consapevole di poter modificare l’assetto cognitivo ed emotivo con cui legge gli eventi, guarda alle avversità passate, per ricavarne lezioni utili per migliorare le proprie attuali strategie di coping, è disposto a uscire dalla propria comfort zone per sviluppare una maggiore tolleranza alle frustrazioni.
La resilienza è la capacità di autoripararsi dopo un danno, di far fronte, resistere, ma anche costruire e riuscire a riorganizzare positivamente la propria vita nonostante situazioni difficili che fanno pensare a un esito negativo.
Essere resilienti non significa infatti solo saper opporsi alle pressioni dell’ambiente, ma implica una dinamica positiva, una capacità di andare avanti, nonostante le crisi, permette la costruzione, e/o la ricostruzione, di un percorso di vita, di superare le difficoltà, ma non rende invincibili, e non è neppure presente sempre e comunque: possono infatti verificarsi momenti in cui le situazioni sono troppo pesanti da sopportare, generando un’instabilità più o meno duratura e pervasiva. Tuttavia è indubbio che la forza delle battaglie superate predispone l’individuo a lottare con maggior consapevolezza (dei rischi assunti e della probabilità di riuscita). Le persone comunemente si dimostrano resilienti, generalmente, col il trascorrere del tempo, le persone trovano il modo di adattarsi bene a situazioni oggettivamente drammatiche come incidenti, lutti, calamità naturali ed eventi traumatici. Il dolore emotivo, la tristezza e altre emozioni negative sono frequenti e comuni in coloro che vivono delle avversità o delle situazioni traumatiche. Il costrutto di resilienza evidenzia l’importanza delle risorse di un individuo rispetto alle proprie capacità di autoriparazione per la sopravvivenza.
La resilienza non è un tratto stabile e immodificabile della personalità, ma implica una serie di comportamenti, pensieri e atteggiamenti che possono essere appresi, migliorati e sviluppati in ciascun individuo.
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