Il disagio ai tempi del Coronavirus: il lockdown
“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio…
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato.”
Haruki Murakami
Stiamo vivendo un momento estremamente drammatico, intorno a noi abbiamo un contesto ansiogeno, sia che ascoltiamo le notizie, sia che guardiamo fuori da una finestra, dove l’unico suono, in città immobili, è la sirena delle ambulanze, a cui, ora, facciamo caso. Le persone girano distanti fra loro con mascherine e guanti a sottolineare la lontananza fisica, mentale ed emotiva, una realtà surreale.
L’altro viene visto come possibile portatore di contagio sia a livello conscio che inconscio. Anche noi stessi abbiamo delle remore ad avvicinarci all’altro, amato ma fragile, siamo noi i portatori di contagio? Chi più, chi meno si interroga sulla possibilità di portare la malattia, anche remota: “ho fatto la spesa sono stato abbastanza attento, oppure, untore inconsapevole, senza sintomi, contagio le persone che sono attorno a me?”
Emerge il disagio in tanti modi: dai delatori, sentinelle alle finestre pronti a denunciare chi esce da casa un numero di volte giudicato esagerato. Dalle critiche feroci, che viaggiano sui social, verso coloro che “irresponsabili e criminali” si spostano, il mondo virtuale sembra essere l’unico modo per sfogare la rabbia e la paura che ci attanaglia dimenticando l’empatia, la compassione e il rispetto. Ma anche coloro che fanno la spesa tutti i giorni oppure, chi sentendosi soffocare nella perdita improvvisa, repentina e totale della libertà sviluppa una sintomatologia fisica o psicologica.
La riduzione dei contatti sociali e fisici, la sensazione di coercizione all’interno di spazi limitati, il senso di insicurezza per il futuro, o il timore di un futuro a tinte fosche portano ad una sofferenza psicologica. Manca una via di fuga, la possibilità di fare qualcosa, si vive in una bolla anche se si fa smart working, tutto è immobile.
Si presentano così disturbi nel sonno: dall’insonnia, agli incubi, all’ipersonnia. Si vivono frustrazione, noia, una sensazione di isolamento anche se si abita con altre persone, e poi le emozioni rabbia, paura, angoscia. Diventa difficile concentrarsi, ci si sente confusi. In fondo siamo sottoposti ad uno stress intenso, magari non all’inizio ma il prolungarsi dell’emergenza può piegare anche chi, nel primo periodo, ha vissuto lo “stop” in modo più sereno.
La rabbia come gli altri vissuti del resto, non ha una valvola di sfogo, non abbiamo un “nemico” con cui prendercela, non abbiamo lo sport per scaricare, o incontrare un amico per parlare se non con video chiamata dalla nostra gabbia e ci sentiamo costretti, bloccati. Chiusi in casa anche se sani.
Si inizia a fare ricorso a strategie disadattive di gestione del malessere come agiti impulsivi, o abuso di alcool o cibo.
Infine possono strutturarsi vere e proprie psicopatologie dai disturbi dell’umore, ai disturbi d’ansia come gli attacchi di panico, o una fobia, ecc.. fino ad arrivare ad un disturbo post traumatico da stress.
Cosa si può fare?
Per prima cosa accettare il proprio disagio, guardarlo, capire cosa ci sta succedendo, avere paura è normale, essere arrabbiati anche.
Se sentiamo di perdere il controllo possiamo chiamare qualcuno di competente, (molti psicoterapeuti si sono offerti e sono a disposizione per questo) che può offrirci sostegno, comprensione e accompagnarci in un percorso per disinnescare quelle bombe emotive che abbiamo in noi.
Darci degli obiettivi, fare attività fisica anche solo 20 minuti ogni giorno, e strutturare la giornata per renderla il più normale possibile, alzarsi alla solita ora, vestirsi, fare colazione con calma, iniziare il lavoro o le attività che abbiamo programmato, ecc., cercare di mantenere i nostri soliti orari il più possibile. Auto limitarsi all’ascolto delle notizie sull’emergenza. Cercare di avere pensieri e fare azioni altruistiche.
Essere però gentili con noi stessi se non ci riusciamo.
E dopo? Cosa succederà quando potremo uscire?
Tornare come prima non sarà possibile, ce lo ricorderanno le palestre ed i locali chiusi. La distanza che si dovrà tenere nei bar e nei ristoranti, il comportamento circospetto di alcuni. E il fastidio che potremmo provare se qualcuno si avvicina.
Il desiderio di vicinanza, di contatto si scontrerà con la paura. Ci sarà un prima ed un dopo il virus.
Questo momento storico però può farci riflettere su noi stessi, su come stiamo vivendo la nostra vita, cosa vorremmo cambiare e come potremmo farlo, può aiutarci a tirare fuori abbastanza coraggio da affrontarci ed affrontare ciò che temiamo.
Possiamo sviluppare nuove abitudini, nuove strategie di vita, siamo stati “sbattuti fuori” dalla nostra zona confort ma l’essere umano è adattabile, creativo ed ingegnoso. Laddove c’è una crisi si nasconde un’opportunità.
Il futuro non è scritto dipende da noi, come ci comporteremo definirà come continua la storia: la nostra e quella degli altri.
“Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala.
L’audacia ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso.“
Johann Wolfgang von Goethe